Il convoglio “stava recandosi da Goma a visitare il programma di distribuzione di cibo nelle scuole del Wfp a Rutshuru“, rivela l’agenzia dell’Onu in un comunicato in cui precisa che “precedentemente era stato autorizzato il viaggio su quella strada senza una scorta di sicurezza“.
Secondo il Wfp oltre alle tre vittime – l’ambasciatore Luca Attanasio, il carabiniere Vittorio Iacovacci ed un autista dell’agenzia dell’Onu – “altri passeggeri che viaggiavano con la delegazione sono rimasti feriti“.
“Non c’è assolutamente da stupirsi, se il convoglio con a bordo l’ambasciatore italiano, nella Repubblica democratica del Congo, viaggiava senza una scorta“, spiega il generale Marco Bertolini, ex comandante del Coi, il Comitato operativo di vertice interforze, ed ex-comandante del nono Col Moschin, le Forze Speciali dell’Esercito.
“Intanto, osserva Bertolini, l’ambasciatore non si muoveva da solo ma aveva accanto a lui un carabiniere per la sua protezione personale, come elemento di sicurezza e di dissuasione, purtroppo morti entrambi. Dunque, una certa dimensione di sicurezza era stata assicurata”.
”Dopo di che, aggiunge il generale, la Repubblica democratica del Congo è un Paese enorme, quasi un continente rispetto all’Italia, con zone ad alto rischio e zone considerate meno rischiose. Evidentemente, il convoglio Onu si muoveva all’interno di un’area che era considerata tranquilla, al punto da non necessitare di un convoglio di scorta. Sicuramente, a quei livelli non si agisce certo con leggerezza…”.
Ma, aggiunge l’ex-comandante del Coi, “al di là del caso specifico congolese, conosco e ho visto tanti nostri ambasciatori in Paesi a rischio, dalla Somalia all’Afghanistan, spostarsi in certe situazioni e in determinate zone anche senza scorta. Se un ambasciatore dovesse muoversi sempre, all’interno di certi Paesi, con un convoglio di scorta, non basterebbero le intere nostre forze armate a proteggerlo…”.