
Controllo a distanza dei dipendenti in smart working con Gps per azioni disciplinari: ecco in quali Paesi si fa, dov’è più difficile e com’è messa l’Italia
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Nell’era dello smart working e del lavoro da remoto, c’è un tema che è diventato più che mai importante: il controllo a distanza dei dipendenti, possibile attraverso la geocalizzazione con Gps. È su questo che si focalizza l’ultima indagine condotta dallo studio Toffoletto De Luca Tamajo, specializzato in consulenza e diritto del lavoro e sindacale per le imprese, da cui, in estrema sintesi, emerge che nella maggior parte dei Paesi è possibile raccogliere i dati e utilizzare gli strumenti dotati di Gps per localizzare i dipendenti in mobile working, ma con gradazioni differenti. E l’Italia si distingue per essere un Paese dove attivare la procedura risulta piuttosto difficile.
“Poter utilizzare i dati raccolti attraverso la geolocalizzazione consente al datore di lavoro di rendere più efficienti i processi di vendita o le attività di intervento tecnico svolte sul territorio, nonché misurare in tali ipotesi la produttività dei dipendenti, a condizione che siano state adottate le necessarie procedure o autorizzazioni previste nelle diverse giurisdizioni” sottolinea l’avvocato Ornella Patané, partner di Toffoletto De Luca Tamajo.
Smartworking

Più nel dettaglio, lo studio ha preso in esame le normative di 34 Stati in tutto il mondo in tema di geolocalizzazione dei lavoratori subordinati. Per scoprire, innanzi tutto, che nel 90% dei casi è possibile utilizzare i dati di geolocalizzazione per mettere in atto azioni disciplinari, a patto che siano adottate tutta una serie di prescrizioni.
Nel 15% dei Paesi presi in esame, è sufficiente la sola informativa ai dipendenti, mentre in oltre il 70%, accanto all’informativa, spiega una nota dello studio legale, “è necessario ottenere il consenso e/o raggiungere un accordo sindacale, ovvero ottenere autorizzazioni pubbliche”. E l’Italia è proprio tra questi Paesi.
L’indagine suddivide i Paesi analizzati in tre fasce, in base ai limiti posti dalla normativa all’utilizzo di sistemi di geolocalizzazione: facile, media e difficile. Alla prima fascia appartengono Canada, Argentina, Brasile, Cile e Regno Unito. “Negli ultimi tre è necessaria un’informativa ai dipendenti” per procedere con la geolocalizzazione, precisa lo studio, il che lascia presupporre che in Canada e Argentina non ci sia bisogno nemmeno di quella.
- Dov’è più facile e più difficile geolocalizzare i dipendenti – Fonte: Studio Toffoletto De Luca Tamajo
Stazionano nella fascia di mezzo l’Australia, il Giappone, il Portogallo, la Turchia, gli Emirati Arabi Uniti, l’Ungheria, ma anche molti Stati americani, ossia California, New Jersey, Texas, Washington, Florida e New York. “La mappa – avverte la nota dello studio legale – posiziona in fascia media gli Stati in cui all’informativa si aggiungono, nella maggior parte dei casi, una precisa policy aziendale sull’utilizzo e la conservazione dei dati, e il consenso esplicito del lavoratore”.
L’Australia rappresenta un caso particolare, perché “in alcune aree del Paese devono essere apposti degli avvisi permanenti sui dispositivi, come ad esempio degli adesivi sui telefoni cellulari, che avvisino dell’esistenza di un sistema di geolocalizzazione”.
C’è poi la terza fascia di Paesi dove geolocalizzare i dipendenti risulta più difficile. Oltra all’Italia, stazionano qui Belgio, Cina, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Israele, Lussemburgo, Paesi Bassi, Perù, Polonia, Repubblica Ceca, Russia, Spagna, Svezia e Svizzera. “In questi Stati – puntualizza la nota – oltre a informativa e policy, tra i requisiti per poter attuare il monitoraggio vi è sempre anche la necessità del consenso del lavoratore e/o il raggiungimento di un accordo sindacale o di un’autorizzazione pubblica”.
Fonte articolo: Business Insider
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